L’ ASSENZA ( recensione su racconto di Ninfa Leotta 09/11/2012 )
Volendo parlare della nostra scrittrice Ninfa Leotta, mi vien d’obbligo pensare ad un preambolo su chi noi definiamo scrittore, dopo aver letto con coinvolgimento il racconto L’Assenza e prima di lasciarmi trasportare dall’esigenza di esprimere il mio più completo assenso ad una grande opera, il mio pensiero è scivolato su una elucubrazione del significato di scrittore, colui che scrive, oltre quanto è l’etimologia del termine. Anche se non tutti abbiamo la capacità espositiva sinottica o analitica della signora Ninfa, e se anche in forma inconsapevole, siamo tutti scrittori delle nostre vite, sempre, foss’anche il nostro bagaglio scarno, siamo comunque scrittori di pagine ad inchiostro indelebile del libro dell’esistenza. Non esiste essere vivente che del corso della sua storia non abbia passaggi eclatanti che si stendono a larga macchia, stampati sulle proprie pagine, sarebbe non esistere, non aver solcato alcun passo nel cammino dell’esistenza. Non essere vivi. Mi domando chi di noi potrà mai restare muto nello sfogliare le proprie o altrui pagine di vita; anche nel discreto silenzio, il nostro romanzo lo abbiamo inciso nella tavola della memoria.
C’è lo Scrittore poi, colui che “trascrive” che fa della sua penna l’estensione della mente, colui che sa dar spessore a scene che altrimenti resterebbero dietro le quinte, e voce a chi del tracciato silente vede solo le ombre; lo Scrittore, il drammaturgo che rende vitalità e precise sembianze a realtà che si delineano accanto a noi e in noi. C’è Ninfa Leotta.
Si resta affascinati dall’autrice che con maestria traccia linee di percorsi di vite nel cui libro si intrecciano ed evolvono, creando nuove mete da raggiungere, non senza la mestizia e la forza che ogni prova ed ogni riflessione comporta. In L’Assenza, un’assenza assai carica di presenze incorporee che riempiono gli spazi di Giulia: Fulvio e Angela due dei personaggi che costringono la protagonista, proprio a causa della loro forzata assenza, a riversare su se stessa, sola, abbandonata e abbandonante, tutti gli interrogativi di un’anima alla riscoperta del sé, alla formulazione di continui perché che se pure senza responsi, la costringeranno a svolgere e riavvolgere il tessuto dell’esistenza, non solo propria (è fonte di rinnovamento per Antonio che dovrà affrontare l’elaborazione esistenziale della figlia e di riflesso anche sua personale). Gli attori nella narrazione, gli incontri, gli scambi, le scoperte, intessono di rara saggezza il racconto che diventa non solo romanzo, ma vademecum per chiunque si trovi in quell’attimo sospeso della vita che non da’ più certezze e nemmeno i presupposti per un’ipotesi di vita quotidiana.
Nella delicata giostra degli esegeti e delle loro vite collegate dai fatti, le caratteristiche di ognuno e ad ogni pagina ci concedono di specchiarci, di vivere un tratto di esistenza che in parte è anche nostro, non foss’altro che per l’interiorità di cui ne sono dipinti i contenuti, e lo riviviamo questo tratto, sapendo che noi non avremmo avuto l’arte di saperlo esporre così scientemente.
Ascoltiamo quindi, attraverso l’autrice, i suoni di vite altrui che danzano sulle righe, e in esse intravediamo prima e ritroviamo poi, solchi di nostri passi intimi se pur in luoghi e in esistenze diversi.
Oltre alle entusiasmanti avventure in cui ella ci avvinghia, ora nel cammino della malattia del vivere, ora nelle vesti di novella detective, ora nella chiara e consapevole rivisitazione del sé, le sue massime di vita sono forti stimoli alla conoscenza. È quindi tutto il filo dell’opera uno srotolare la matassa della propria esistenza, dei personaggi, dell’autrice, di noi, stupiti lettori che ci nutriamo di un racconto che ci serra nel fascino di storie attorno ad una storia. Catturati fino all’ultimo rigo, fino a scoprire l’epilogo di una così interessante trama. Ed è all’ultimo rigo che scopriamo di non desiderare la conclusione del racconto, ma vorremmo continuasse per perderci ancora nell’incanto che Ninfa Leotta ha saputo creare per noi lettori, vogliosi di leggere e leggere ancora la superba penna dell’autrice.
È la capacità della scrittrice Ninfa Leotta, il prodigio che ci mostra orizzonti sconosciuti eppure nostri ché, se pure è vero che ogni esperienza è personale e quindi assolutamente unica, è pur vero che le sensazioni, emozioni e reazioni sono universali. La drammaturga, la scrittrice intinge nel pozzo della sua capacità emotiva l’esperienza e ce ne rende compartecipi, dichiarandola su quanto va ad esporre, con grazia, passione, lucidità, completezza.
E chi di noi, intimo scrittore di sé, potrebbe mai restare indifferente davanti allo svolgimento di una narrazione che è specchio di più vite?
Leggo nell’introduzione: “tornare indietro per andare avanti”, mai metafora potrà essere più veritiera, è inoltrandosi nei più reconditi meandri del nostro vissuto che arriviamo a conoscere il nucleo da cui si sviluppa ogni particella che diventerà tessuto dell’intera realtà, fisica e interiore.
I personaggi, la valenza di ognuno, gli ambienti, i pensieri e le azioni, il vissuto personale, tutto convoglia nell’unicità di un romanzo che non si esplica nella sola e semplice narrazione di fatti, bensì nell’evoluzione degli stessi incentrati sui temi della vita e della morte, sulla mancanza/ assenza, sul dolore per essa, sul ricordo che spinge ad aprire soglie a nuova esistenza. Ed è una porta da aprire quella a cui l’autrice ci conduce, la porta della speranza, Ninfa Leotta ci accompagna tenendoci per mano, sussurrando lezioni di vita di cui fare tesoro e alle quali attingere nei momenti in cui le ombre dell’esistenza ci confondono il cammino.
Annamaria Vezio