Opere Settembre 2012

15.10.2012 22:47
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

venerdì 28 settembre 2012

Fides da "Lettere"ed. 2012 copyright by Am Vezio

 
Scrivo, ma forse prego,
con le dita strette sulla penna
come mani giunte in preghiera
All’infinito affido
i miei bisogni e le mancanze
e, ognora, una risposta aspetto
Chiedo sempre,
con fiducia e con costanza
che l’attimo futuro
sia migliore del presente
così come i presenti
furon meglio dei passati
E il giorno che, or ora viene,
mi si mostra sempre nuovo,
impertinente mi ricorda
che ieri, è già “passato”
lontano è abbastanza
da mostrarmi ch’è reale,
che l’oggi è bello e gravido
di quei momenti
che appena poco fa,
erano soltanto
lampi di promesse.

da "Lettere"ed. 2012 copyright by Am Vezio
 
 
 

martedì 25 settembre 2012

LA SIGNORINA ELISA (2a Parte Antonio de Curtis)

 
A conti fatti avrò avuto 4 anni.
Ho una sorella di 2 anni minore di me, quindi allora aveva 2 anni.
Mia mamma era sola ad accudirci …
Allora scuole materne, asili nido … i nidi erano tanti, quasi ogni albero ne portava un paio, ma di asili … nemmeno la parola.
Era difficile tenerci a freno, io più grande facevo il prepotente e scocciavo mia sorella … quando mamma non vedeva. Quella incominciava a piangere ed insomma …
Mamma aveva fatto amicizia, con la a famiglia “nobile” del paese, gente di antico lignaggio, abituata a essere importante … comunque … ed una anzi due componenti la famiglia, zia e nipote, erano maestre elementari e la più anziana, “la signorina Elisa”, insegnava proprio nella scuola del paese.
Signorina, sì, perché non era sposata: bassa, col gobbo, un viso stregolino, benché nobile … non aveva trovato.
Per la verità, c’era stato un disgraziato che,fatto i suoi calcoli, si era fatto avanti … ma lei sdegnosamente: “Quello zotico ? …”
E così era rimasta signorina.
Signorina proprio … da metterci la mano sul fuoco, … quello del camino.
Ma torniamo a noi.
Mamma pensò bene ad un asilo ante litteram: chiese alla signorina Elisa se mi avesse tenuto con lei in classe la mattina.
E così, a 4 anni, finii nella seconda elementare in mezzo a ragazzi tanto più grandi di me.
La maestra mi aveva fatto sedere al primo banco, proprio vicino alla lavagna.
Per potermi tenere sempre d’occhio.
Io a disagio e impaurito stavo fermo e quieto anche se mi scocciavo assai; ogni tanto, quando gli altri scrivevano, io col “lapis” – si chiamava così, la matita - col lapis facevo qualche scarabocchio sul quaderno a quadretti che mamma mi aveva comprato apposta; o mi fermavo a esaminare il calamaio di zinco semipieno di inchiostro infilato nel buco del banco; o la penna col pennino “a cavallotto” del ragazzo più vicino … che faceva macchie se non la intingevi bene … insomma andavo scoprendo quel mondo semioscuro, silenzioso, dove imperava la maestra. La padrona e signora di quei 40 metri quadrati e di quella piccola truppa di ragazzi innocenti.
Ogni tanto mi veniva vicino a guardare cosa stessi facendo … come tenessi il quaderno … aveva sempre qualcosa da rimproverarmi … avevo paura anche di mettermi a piangere … sempre con la sua riga in mano, pronta ad usarla …
E la usava. E spesso. Erano i momenti più tristi, che quasi quasi avrei voluto scappare ma la paura mi teneva inchiodato nel banco.
Mi ricordo di un ragazzo, il più grande, forse 12 anni, “il più ciuccio” come diceva la maestra, figlio del mulattiere del paese. Un ragazzotto, bianco e rosso, l’immagine della salute, alto e robusto, sovrastava la rachitica maestra di un bel po’.
Dalla mia terrazza, lo vedevo passare a volte sul suo mulo, seduto con i piedi pendenti dallo stesso lato, le briglie in mano, la piccola frusta … ogni tanto tirava le redini, o dava una pacca sul collo all’animale: un re sul suo destriero! …
L’avevo visto una volta guidarlo, il mulo, col suo basto di pezzi di tronchi … con sicurezza tra le pietre della collina … e l’animale che lo seguiva docile. Michele –nome posticcio, quello vero non me lo ricordo più – Michele lavorava col padre … tante volte non veniva a scuola … e la signorina Elisa si arrabbiava.
E quando si arrabbiava era botte, e delle peggiori.
Ogni occasione era buona per usare la sua “riga”.
La “riga” era una stecca di legno lunga poco più di 1 metro, larga 4/5 cm e spessa mezzo centimetro. Il terrore di tutti i ragazzi.
Ricordo una volta, Michele alla lavagna, a fare delle operazioni.
Non ci riusciva … la maestra gli si avvicinò e gli domandò la tabellina … diciamo del 6 … quante volte l’avevo sentita pure io quel ritornello:
”Sei per uno sei; sei per due dodici; sei per tre … un pezzo l’avevo imparato pure io.
Michele arrivò fino a sei per sei trentasei, “sei per sette … sei per sette … sei per sette” …
Si avvicinò la maestra “ e sei per sette ? – disse - “sei per sette?”- gridò …
“Sei per sette … sei per sette …”
“Sette bacchettate in mezzo alla mano!” …
Michele voleva tenderla la mano per ubbidire e ma anche tirarla indietro per non subire …
“Stendi la mano!” gridò.
Michele si decise, ubbidì e …paf, paf, paf … sette bacchettate che manco ad un mulo … ad un asino …
Io là vicino tremavo manco fosse mia quella mano.
Guardavo e pensavo: “Ma comme! Michele, ma pecchè non nge dà ‘na vuttata, ‘a sbatte pe’ ll’aria? … nun se puteve purtà a bbacchetta d’ ‘o mulo ? … ”.
“Ma come! Michele, ma perche non le dà uno spintone e la sbatte per aria ?… non poteva portarsi la frusta del mulo … ”.
Ci sono rimasto per 5/6 mesi in quella classe, che mi insegnò ad odiare la scuola e, soprattutto, le maestre.
Correvano gli anni 40. Tanta gente firmava con la “croce”.
La signorina Elisa, lei sapeva scrivere !
 
 
 

domenica 23 settembre 2012

LA SIGNORINA ELISA Antonio de Curtis

 
Si chiamava signorina Elisa; della schiatta nobile del paese; maestra elementare; zitella, avvizzita nei suoi quasi 50 anni – a 50 anni allora si era vecchi, vecchi proprio – forse senza mai conoscere uomo: noblesse oblige.
 
Fine degli anni ‘30. Una piccola scuola di un paesotto di contadini e tagliaboschi. Quella mattina non era particolarmente arrabbiata, la maestra; finché Nanninella nell’ultima fila non chinò la testa sul banco e prese a dormire.
Quando se ne accorse, brandì la sua”riga” passò silenziosa tra le due file di banchi la raggiunse e la “svegliò” con due colpi sulle spalle.
La ragazzina saltò al primo colpo e cercò di parare il secondo.
Nanninella quella mattina, come le altre mattine, si era alzata alle tre, aveva accompagnato la mamma in montagna, aveva mietuto con lei, con lei s’era fatto il fascio di fieno, se l’era issato in testa e l’aveva portato a casa. A tempo per lavarsi il viso, mettere il grembiule e le scarpe e andare a scuola.
La signorina Elisa, tutta soddisfatta se ne stava tornando alla cattedra quando inciampò nel penultimo banco e per non rovinare per terra si afferrò al primo banco della fila.
Ma … ma sul banco c’era la penna, e la penna di quei tempi era un’assicella di legno con un “pennino” montato in punta … il pennino le si infilò nel dito …
Con un urlo di dolore, il dito sanguinante prese a menar botte ed inveire contro la bambina che occupava quel posto.
”Crape, crape ma che ve ce mannena a ffà a scola ?, che ve ce mannene a ffà ? … jate ‘a muntagna !… a muntagne …. vi odio! vi odio!”
”Capre, capre ma che vi madano a fare a scuola ? che vi ce mandano a fare ? … andate alla montagna! … alla montagna! …. vi odio vi odio!”
E continuava a menar rigate … finché non pensò che si doveva fasciare il dito.
Ragazzine di 3° elementare 10, 11 anni, che s’affacciavano a sbocciare …
La signorina Elisa, zitella sgubbatella, sorella del dottore, figlia del marchese.
 
 
 

sabato 22 settembre 2012

Le parole che non so dire (ed.2012 copyright by Am Vezio

 


Le parole che non so dirti
negli attimi importanti
quando nel tuo cuore affogo
e tu in me muori
Nel momento in cui tu cadi
e ti abbandoni nel mio ventre
resti, agonizzi e ti addormenti
e ritorni a vita nuova
Ed io terreno gaio e vivo
ti accarezzo e ti regalo
tutta questa mia esistenza
e sciogliendo gli occhi
miei nei tuoi
ti offro la certezza
che quei passi dentro all’anima
sono i giorni della vita.
 
Io e l’angelo Premio "il Saggio" 2012

 

 
 Ti ho dato da vedere
azzurri mari e prati verdi
e i colori delle notti

delle estati e degli inverni
Ti ho dato da gustare
frutti dolci e amari semi
e carezze lussuriose
e gemiti nel buio
E sorrisi di neonato
ed urla ed ossa rotte
e poi il sollievo
Ti ho dato da vedere
le ombre oscure nel mio petto
le speranze e le vittorie
e i pianti e le risate
I dolori dei miei parti
e i vagiti dei miei figli
Ti ho dato da vivere
le angosce ed i dolori
le gioie e i miei amori
e tu mi hai compensato
tingendo tutto dei colori
dello spazio e dell’eterno
Io e te, una cosa sola
e l’un l’altro ci doniamo
quei passi della vita
che completano l’arcano
Un giorno sarò io
la stessa essenza tua
e tu la mia
Avremo preso
l’un dall’altro
il percorso sulla strada
che insieme abbiam scavato
appoggiando il piede io
sui solchi della terra
con tutti i suoi profumi
e sul volo delle ali, tu
sfrangiando nubi e cieli
in spazi senza fine.

venerdì 14 settembre 2012

antonio fatiga L'inafferrabile sogno. // Nene dei Sogni Non amerò più

 

Non ti vidi mai una sola volta,
ma infinite volte ti sognai laggiù...
tra i templi epocali d'Egitto,
tra i giochi dell'antica Grecia,
tra i giardini della Babilonia,
tra le Dantesche immagini del Paradiso.
Non voglio saper quanti anni hai...
nè quel che fai.
Tuttavia, in una notte di armonia,
è sorta l'inafferrabile idea...
accostare la luna e farla mia.
Prigioniero di un luccichio nel buio,
come un falco al di sotto dell'immenso cielo,
ascolto i segreti del vento e dimoro...
sui ricami di un mantello scuro e il miele di un cuscino.
Oh, se in questo mondo fantastico,
in codesto tempo sognato...
ci fossi anche tu.
Sarei pronto a vivere da birbante ...
nel tuo esser monella di luna.
giocare con te nel mistero dell'antichità...
miscelando gli odori e i colori della notte.

Antonio Fatiga. Diritti riservati.
 

Non amerò più

Non amerò mai più così
con il cuore che batte forte se solo, ti penso
il viso che si colora di rosso se le tue dita mi sfiorano,
il corpo che freme se mi attiri a te.
Mai più amerò così
come se fosse la prima volta,
aspettando alla finestra il tuo arrivo,
prendendo in mano il telefono ogni istante,
con la nostalgia di te
appena varchi la mia porta per andar via.
Non amerò più così
ascoltando il cuore e non la mente,
dando vita ai miei sensi e all'emozioni
vivendo ogni istante,
vivendoti per il tempo che sarà...
 
 

mercoledì 12 settembre 2012

GERMOGLIO UMANO Tre haiku di Vittorio Fioravanti

 


 I

Rigonfio ventre
di palpiti vitali
Germoglio umano

II

D'oscura "orquídea"
l'essere partorito
s'apre al risveglio

III

Bruno mulatto
contro il cielo di luglio
frange il suo grido



Caracas, 8 luglio 2008